Il Genio delle due Sicilie è un collettivo di designer meridionali che progettano e producono articoli di arredamento e prodotti di design industriale.
I designer del Genio delle due Sicilie si propongono di fornire, di indagare, di progettare una nuova qualità dell’abitare di una pratica domestica rinnovata, all’interno di una civiltà post-industriale, proponendosi di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione: l’industria, l’artigianato, le arti applicate.
Il Genio delle due Sicilie nasce come mostra concepita dall’Arch. Giuseppe Finocchio, per la Palermo Design Week 2012, che ne presenta una parziale anteprima in occasione di una manifestazione dedicata al design a San Marco d’Alunzio, sui Nebrodi, in provincia di Messina.
Complice la convivenza dei designer presenti, nei giorni dell’allestimento della mostra in questo antico borgo medievale, è stato interessante osservare la piacevole spontaneità di ciò che ha cominciato a prendere forma, ovvero la nascita di un gruppo eterogeneo di designer che vogliono far sentire in coro la propria voce e insieme intraprendere un percorso che forse da soli sarebbe più arduo portare avanti.
Si sono delineate delle idee, delle iniziative, che in successivi incontri hanno preso ancora più forma, dando vita a un progetto polivalente le cui direttive di base sono l’appartenenza al territorio, il modo di rapportarsi con il proprio lavoro e con il sociale, il condividere le proprie conoscenze per sviluppare delle sinergie.
La prima iniziativa del gruppo è quella di presentare e proporre i propri prodotti, gran parte come limited editions, organizzando una mostra collettiva itinerante, che da Palermo ha preso il via. Questi prodotti rappresentano, a livello di contenuto e qualità, l’immagine e il modo di pensare del Genio delle due Sicilie: idee originali, identità forte, tipologie e forme collegate all’ecosistema che li vincola ad una dimensione territoriale della “cultura”.
Premesso che il modello del mondo che vedeva la scomparsa di tutti i Sud esistenti e l’industria come forza risanatrice di tutti i mali, si è rivelato una grande mistificazione, un’utopia strategica, viene quindi ribaltata l’idea di un Sud che scompare progressivamente nel grande ordine logico del Nord. Il vitalismo del Sud, lontano dai meccanismi della trasformazione produttiva, deve essere considerato come un nuovo modello che, forse, non è in alternativa a quello continentale ma ne rappresenta paradossalmente la testata di sviluppo. Oggi non esiste più l’idea che la realtà si sviluppi, necessariamente, in un’unica direzione e che il nostro futuro sarà univoco: l’orizzonte che abbiamo di fronte è costituito da tanti futuri diversi risultanti da tanti diversi progetti, tanti quante sono le diverse culture in azione.
Il Sud, per fortuna non ha subito l’omogenizzazione del Nord. Le sue componenti si sono frammiste così come le civiltà e i popoli che si sono succeduti, in un continuo processo di contaminazione, discontinuità, sperimentazione, restando spesso intatto. Questa realtà ibrida, frutto di una progettualità debole e di una identità forte, somiglia sempre più al mondo che ci aspetta. Essa costituisce, dunque, un futuro possibile per la modernità e non la sua alternativa.
L’idea di base, che accomuna il gruppo nasce quindi da queste premesse e da una lettura diversa del territorio e della cultura meridionali: una lettura non più basata sul metro dell’efficienza (tutta nordica) o dell’alternativa, bensì sull’idea della totale autonomia del Sud e sulla capacità di proporsi come uno dei modelli del mondo moderno.
Il gruppo rivendica alcuni elementi che appartengono al Sud. Prioritariamente bisogna tener conto che ogni Paese, ogni territorio ha una suo passato attraverso il quale può interpretare lo sviluppo, costruendolo sulla base di quelle che sono le sue esigenze, di quella che è la sua storia.
Dal momento che la componente comportamentale è entrata nel fare artistico, sovrapponendosi alle pure valenze linguistiche e produttive, il Sud deve saper rivendicare una misura critica nei riguardi di un mondo che ha costruito sull’ossessione del profitto e della velocità i suoi parametri essenziali.
Un altro elemento di rivendicazione è quello della lentezza, uno dei più importanti. Infatti ci sono dimensioni dell’esperienza che sono possibili solo nella lentezza, dall’amore alla conoscenza. Pensare che tutto possa essere compresso, reso più rapido e veloce, è un’illusione che produce una serie di patologie. Il Sud con i suoi ritmi, con la sua lentezza può costituire l’antidoto per quelle patologie che nascono da un modello nel quale lo sviluppo e la ragione non hanno più un criterio di misura, sono diventate sregolate, prive di possibilità di governo.
La filosofia Genio delle due Sicilie si radica, dunque, nel genius loci; si esplica in un’occupazione creativa opposta all’alienazione della ripetitività; si fonda sull’esperienza continua, alla ricerca dell’innovazione e quindi di un’attività creativa in perenne evoluzione; riconosce l’importanza dei materiali, delle tecniche, dell’industria, della tradizione, dell’artigianato e della storia.
La mancanza stessa di efficienza produttiva – sempre valutata come risultato di una sottocultura e non come risultato della diversa elaborazione di una diversa cultura comportamentale che possiede tempi e metabolismi diversi – viene rivendicata come peculiariatà del fare meridionale. Il ritorno alla propria identità, alla propria specificità culturale può avvenire soltanto attraverso la ritrovata mediazione originale tra i fatti universali e i bisogni e le peculiarità del contesto.
In questo senso il Sud potrebbe diventare la nuova area di sviluppo per nuove forme di produttività creative: un design con un senso di antropologia del luogo, intesa come sensibilità come genius loci.